La Rete che non c'è - parte prima

16 Jul 2020

Nel primo decennio del duemila, la grande preoccupazione riguardo il Web era la difesa del diritto d’autore. Dalla diffusione mondiale dei social media, la preoccupazione principale è diventata la tutela della privacy. In questo articolo proverò a mettere in luce come questo cambiamento non sia stato discontinuo, e come queste due preoccupazioni abbiano una radice comune nelle potenzialità del Web di facilitare la creazione e condivisione di opere originali.

Gli anni 00 sono stati percorsi da un fremito di entusiasmo nei confronti della Rete. Grandi progetti collaborativi come Wikipedia, in cui persone sconosciute cooperano volontariamente per costruire un bene comune, portavano a riporre fiducia nella Rete come strumento in grado di offrire accesso democratico alla conoscenza, liberalizzandone la fruizione e la diffusione. L’architettura del Web favoriva la copia e diffusione di cultura senza alcun limite, persino ai confini della legalità. Le reti peer2peer (tra cui le più famose eMule e BitTorrent) consentono agli utenti di scambiare file senza essere controllati o dipendere da un computer centrale - un server - ma solo contando sulla condivisione di altri utenti. In un contesto pieno di controversie, prima dell’avvento dei social media, Tim Berners-Lee si mostrava ancora fiducioso sulle potenzialità della Rete.

Il Web 2.0 è il prodotto di un insieme di tecnologie che ci hanno dato la possibilità di caricare le nostre creazioni su un sito ospite, come quando creiamo un post su Tumblr, un tweet o un Vine. Dall’avvento di queste tecnologie, le opere condivise non sono state più soltanto quelle prodotte da persone al di fuori della Rete e poi digitalizzate, ma sono diventate vere e proprie creazioni degli utenti distribuite sulla Rete. La pratica di creare nuovi contenuti mischiandone di già esistenti è diventata tanto comune quanto quella di condividere sulla rete le proprie creazioni originali. La Rete tra 2006 e il 2012 - nella quale ho vissuto i miei primi anni da frequentatore del Web - è stata popolata da video parodici, dai primi meme e da wiki di ogni sorta (ad esempio, Nonciclopedia). La maggior parte di questi contenuti riutilizzavano materiale della cultura pop per creare qualcosa di nuovo. Questa pratica, insieme alla capacità delle reti p2p di condividere liberamente materiale protetto da copyright, ha portato l’industria culturale e i legislatori a preoccuparsi della protezione del diritto d’autore.

Il passaggio chiave per descrivere la modalità di funzionamento del Web 2.0 è la partecipazione degli utenti. Questa modalità di interazione è stata resa tecnicamente disponibile da avanzamenti nelle tecnologie usate per sviluppare siti Web. I social media, la killer application del successivo decennio, sono basati su queste tecnologie e su questo design di interazione nel Web. Come osserva Andrea Zanni in The Game - Unplugged, l’interazione degli utenti sulle piattaforme, una volta registrata sistematicamente, ha permesso l’implementazione dei sistemi di raccomandazione. Queste tecnologie permettono di elaborare le attività virtuali degli utenti per fornire suggerimenti mirati ad ognuno. Tecnologie simili hanno fatto la fortuna di piattaforme come Amazon e Netflix, in grado di suggerirci prodotti grazie alla registrazione delle nostre attività sulle piattaforme stesse. La stessa idea è stata applicata per la prima volta anche da Google al campo dei motori di ricerca. Il processo di raccolta sistematica dei dati sulle interazioni degli utenti di una piattaforma è dunque al centro del dibattito sulla nostra privacy.

Comprendere il collegamento tra le potenzialità della Rete e il nostro diritto alla privacy è un passo importante per riuscire a tutelarlo. La nostra attività sulla Rete è concentrata su poche piattaforme che si sono affermate grazie alle strategie appena descritte. Quali scenari alternativi potremmo immaginare apprezzando il potenziale espresso e inespresso della Rete come strumento creativo?